domenica 10 giugno 2012

Premi Ubu recenti


Il Premi Ubu sono forse i premi più prestigiosi per il teatro italiano. Nascono nel 1977 per iniziativa di Franco Quadri, critico teatrale milanese recentemente scomparso. Quadri fonda nel 1971 la casa editrice Ubulibri, dedicata al teatro e alle arti visive, e, alla fine degli anni ’70, istituisce il premio e comincia la pubblicazione di una rivista, il Patalogo, autorevole catalogo dei migliori spettacoli allestiti in Italia e all’estero. Quadri, che è stato anche critico teatrale per Repubblica, ha promosso il teatro di ricerca sostenendo le compagnie e gli autori più sperimentali in Italia e fuori: suoi sono importanti saggi su figure come Wilson, Ronconi, Genet. Nel nome dei premi e della casa editrice si riferisce a Ubu, il protagonista di un’opera teatrale intitolata Ubu roi, scritta dal francese Alfred Jarry poco più che ventenne e pubblicata nel 1896: l’opera, per i suoi toni visionari e dissacranti, è considerata un’anticipazione del teatro surrealista e dell’assurdo.

Tra gli ultimi Premi Ubu per la scenografia vi sono quello del 2011 a Maurizio Balò per Il misantropo (da Molière, regia di Massimo Castri,) e quello del 2009 a Margherita Palli per Sogno di una notte di mezza estate (da Shakespeare, regia di Luca Ronconi).



I due allestimenti sono interessanti dal nostro punto di vista: nel primo, Balò (da tempo collaboratore di Massimo Castri) evoca un ambiente storico senza riproporlo alla lettera: ne cita solo un elemento (uno specchio con candelabri) e ne altera la percezione moltiplicandolo. Lo specchio diviene così la proiezione del narcisismo patologico del protagonista: un elemento realistico viene decontestualizzato ed  è utilizzato in senso fortemente psicologico. (Cliccando questo link si può leggere un'intervista allo scenografo e vedere alcune immagini dei suoi bozzetti, compreso quello per Il misantropohttp://www.chiediteatro.it/approfondimenti-k2/item/317-intervista-a-maurizio-bal%C3%B2-le-difficolt%C3%A0-come-punti-di-forza.html).


Margherita Palli, su suggerimento di Ronconi, trasforma gli elementi della scena scespiriana nella loro enunciazione letterale: invece di costruire simulacri della luna, di Atene e della foresta, l’evocazione è demandata a grandi scritte luminose che riproducono quei nomi e occupano il palco: gli attori interagiscono direttamente con esse come fossero oggetti o pedane. Un esempio di un’evocazione scenografia del tutto libera dal riferimento realistico e di un’idea di teatro come spettacolo concettuale e autonomo (anche nell'interpretazione di uno dei suoi testi classici).



venerdì 8 giugno 2012

Il giardino dei ciliegi di Giorgio Strehler


Tra i maestri del teatro italiano del Novecento c’è Giorgio Strehler. Triestino, si trasferisce a Milano ancora giovane con la madre e lì studia all’Accademia Filodrammatica con Gualtiero Tumiati. Nel primo dopoguerra, nel maggio 1947, fonda insieme a Paolo Grassi il Piccolo Teatro della Città di Milano (nella sede originale di via Rovello), il primo teatro stabile italiano: lo spettacolo inaugurale è L'albergo dei poveri di Gor'kij per la regia di Strehler (che vi è impegnato anche come attore). Da quel momento Strehler lavorerà sopratutto per il Piccolo e vi allestirà alcuni degli spettacoli che hanno segnato la storia del teatro italiano del secondo Novecento. Il teatro, come è noto, diverrà una delle istituzioni del teatro di prosa italiano, moltiplicando le proprie sedi (la nuova sede, inaugurata nel 1998 - dopo un cantiere molto lungo e travagliato - è opera dell’architetto milanese Marco Zanuso).

Tra gli spettacoli più celebri di Strehler c’è l’allestimento del Giardino dei Ciliegi di Anton Čechov, nel 1974 (ripreso poi anche nl ’77). Čechov scrisse l’opera per il Teatro dell’Arte di Mosca di Stanislavskij che la rappresentò nel 1904 (Čechov però non vide mai lo spettacolo, morì infatti alcuni mesi prima della prima). L’incontro tra Čechov e  Stanislavskij  fu cruciale per entrambi: quando il Teatro dell’Arte, nel 1898, accetta di mettere in scena Il gabbiano, il testo era reduce da un insuccesso tanto grande da aver scoraggiato il suo autore dal continuare a scrivere per il teatro. L’edizione del ’98 è invece uno straordinario successo e fissa i caratteri più tipici della prima maniera di Stanislavskij, tra cui il denso realismo delle scene e la forza introspettiva della recitazione. Il sodalizio quindi proseguirà e Stanislavskij porterà al debutto, oltre al Giardino, altri due classici del teatro di Čechov: lo Zio Vania (1899) e le Tre sorelle (1901). Il giardino dei ciliegi narra la storia di una famiglia di aristocratici russi che cade in disgrazia e vive questo destino senza darsene conto veramente, rimanendo sempre estranea ai grandi cambiamenti che scuotono la società dell’epoca in cui vive. Čechov scrisse l’opera come una farsa, ma Stanislavskij la rappresentò come una tragedia: di qui la tensione sottile della pièce, che vive proprio su questa ambiguità e mette in scena un gruppo di personaggi che suscitano insieme compassione e senso di distacco e derisione.

Il Giardino dei ciliegi è uno dei classici del teatro del Novecento e per Strehler, nel 1974, no è una novità: lo ha infatti già diretto negli anni ’50, sempre per il Piccolo. La messa in scena degli anni ’70 però ha un’impostazione molto più radicale ed è rimasta celebre non solo per la qualità degli interpreti, ma anche per l’impressionante scenografia, disegnata da Luciano Damiani insieme ai costumi, che immergeva in un bianco vuoto e abbacinate le vicende di Ljuba e del resto della famiglia Ravenskaja.

Su Youtube si trova le registrazione televisiva dell’intero spettacolo (Rai, 1978), divisa in due clip.




Sul sito del Piccolo Teatro di Milano sono raccolti, nella ricca sezione dell’archivio, alcune immagini e documenti sullo spettacolo.

Nello stesso sito, inoltre, è proposta la trascrizione degli appunti di regia di Strehler.

Notizie su Strehler si trovano nella sezione del sito del Piccolo a lui dedicata e su altre pagine web come Wikipedia, Treccani.it e Sapere.it. Su Chekov, Stanislavkij e su Il Giardino dei Ciliegi esiste molto materiale disponibile in rete. Qui copiamo il link che permette di visualizzare e scaricare un documento in pdf con il testo in italiano dell’opera.
http://www.winniekrapp.it/testi/Cechov,%20Anton%20Pavlovic%20-%20Il%20Giardino%20Dei%20Ciliegi.pdf

Ancora sull’Orlando di Ronconi


L’allestimento dell’Orlando furioso è stato per Ronconi il primo grande successo: lo spettacolo si tenne negli anni della contestazione, poco dopo il ’68, che interpretò e di cui fu specchio con il suo approccio libero e partecipativo al testo di Ariosto. Il poeta Edoardo Sanguineti, reduce dall’esperienza d’avanguardia nel gruppo ’63, riscrisse il dramma che fu presentato al festival di Spoleto il 4 luglio del 1969. La fama dello spettacolo fu tale che 6 anni dopo venne presentata una versione televisiva che però rappresentò in parte un tradimento delle premesse della messinscena originaria. In uno dei primi post abbiamo proposto il link alla versione televisiva, qui di seguito indichiamo due testimonianze sullo spettacolo.

La prima è un’intervista relativamente recente, del 2006, a Saguineti, tenuta in occasione della presentazione di un libro interamente dedicato allo spettacolo del ’69. Il libro si intitola Orlando Furioso di Ariosto-Sanguineti per Luca Ronconi, l’autore è Claudio Longhi, regista e docente universitario (a lungo aiuto regista di Ronconi).
































La seconda testimonianza è un articolo di critica sullo spettacolo, scritto anch’esso di recente, nel 2008, da Ettore Zocaro, giornalista e critico teatrale per il portale Treccani.it.

Il teatro di Gordon Craig




















Come si diceva durante l’incontro di ieri pomeriggio esistono due personalità chiave che sono considerate i padri spirituali del teatro di regia moderno, sono Adolphe Appia e Edward Gordon Craig. Di Appia abbiamo scritto in un post precedente in coda al quale è stato messo il link alla traduzione italiana dei suoi testi in versione pdf. In attesa di introdurre con più calma - nel blog o in aula - la figura di Craig indichiamo di seguito un link per scaricare in versione word i suoi testi tradotti in italiano, raccolti nel libro del 1971 Il mio teatro, edito da Feltrinelli e curato da Ferruccio Marotti.


Come per i testi di Appia si tratta scritti di grande fascino, inaugurali di una rivoluzione nella concezione del teatro e della regia in senso moderno. Come si è visto dai nostri dialoghi con chi lavora al teatro, alle intuizioni dei due autori, scritte e pubblicate tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo, si rifanno ancora i principali maestri del teatro contemporaneo: quelle parole sono ancora un riferimento intenso e radicato, capace di illuminare e spiegare la filosofia della messa in scena più attuale.

martedì 5 giugno 2012

Prime indicazioni bibliografiche


Il workshop è legato al lavoro per il concorso ed è svincolato da una valutazione: il riconoscimento, eventuale, sarà il premio attribuito dalla commissione del concorso. Nonostante questo si vorrebbe che l’esperienza fosse anche una occasione di conoscenza e di introduzione al mondo del teatro e al mestiere dello scenografo. Per questa ragione indichiamo dei testi introduttivi che sono dei suggerimenti e dei consigli, la cui lettura però non è obbligatoria né vincolante.

Silvana Sinisi, Isabella Innamorati, Storia del teatro. Lo spazio scenico dai greci alle avanguardie, Bruno Mondadori, Milano 2003

Franco Mancini, L’evoluzione dello spazio scenico. Dal naturalismo al teatro epico, Dedalo, Bari 1975

Umberto Artioli, Il teatro di regia. Genesi ed evoluzione (1870-1950), Carocci, Roma 2004

Giovanna Zanlonghi, La regia teatrale nel secondo Novecento. Utopie, forme e pratiche, Carocci, Roma 2009

Bruno Mello, Trattato di scenotecnica, De Agostini, Novara 1990

Un documentario su Josef Svoboda


Josef Svoboda è un altro grande e celebrato maestro del teatro del Novecento. È uno scenografo ceco, nato a Caslav nel 1920 e morto a Praga nel 2002. Si è formato studiando sia architettura sia scenografia, quest’ultima al conservatorio di Praga. È diventato principale scenografo del Teatro Nazionale cecoslovacco nel 1948 rimanendo in carica per più di 30 anni. È stato l’allestitore di spettacoli di grande influenza caratterizzati da innovazioni tecniche rivoluzionarie e dall’utilizzo di nuove tecnologie e nuovi materiali.

Questo link mostra un documentario su Svoboda curato dalla televisione francese e qui rieditato per il pubblico ceco. Salvo che per i conoscitori della lingua risulterà difficile seguire le testimonianze e i testi del filmato: lo si propone comunque perché è ricco di molte immagini tratte dagli spettacoli. Il video dura 52 minuti, si intitola Josef Svoboda. Recit d’une liberte ed è del 1991. Il regista si chiama Marco Motta.





Di seguito trascriviamo un link biografico dal Dizionario dello spettacolo del Novecento e i link della voce su Svoboda dell’enciclopedia Treccani e di wikipedia:



lunedì 4 giugno 2012

Le architetture evocate di Adolphe Appia
































Tra i disegni di scenografia più suggestivi per un architetto ci sono senz’altro quelli di Adolphe Appia. Mostrano spazi di grande serenità, costituiti da pochi elementi semplici: pilastri squadrati e disposti in sequenza, scale in pietra che risalgono per piani senza diventare mai troppo ripide. Suggeriscono l’idea di un movimento pacato, rituale, e guidano lo sguardo oltre l’inquadratura, in uno spazio che non è dato vedere ma che l’immaginazione, a partire dallo scorcio che gli è concesso osservare, continua a figurarsi per intero, con le stesse armonie pacate, segnato da una materia altrettanto solida, da una luce altrettanto precisa. Una luce che è quasi densa, atmosferica, il più delle volte crepuscolare, e traccia ombre nettissime e allungate, mai cupe, tenui, quasi trasparenti. Guardando quei disegni, senza conoscerne la storia e l’origine, si penserebbe a vedute di architetture arcaiche, rovine esistenti e conosciute, non ai bozzetti per una scena teatrale.


























Appia è stato per il teatro una personalità decisiva: il ruolo che gli affidano le storie è quello del grande rinnovatore, di chi ha cambiato l’idea della messa in scena dopo secoli di tradizione attoriale. E lo ha fatto a partire dai suoi disegni e dalle pagine dei suoi scritti, da un punto di osservazione eccentrico rispetto alla realtà e alla pratica dei teatri, degli allestimenti concreti che riuscì a realizzare poche volte e molto tardi nella sua vita. A volte, parlando di Appia, gli storici costruiscono un parallelo tra teatro e pittura e parlano degli impressionisti: non lo fanno per lo stile dei suoi bozzetti, ma per la rottura che i suoi lavori segnano per il teatro, paragonabile alla rivoluzione compiuta da Monet e dai suoi compagni. C’è anche chi si riferisce a Cezanne, a Van Gogh: e neppure questo è un accostamento per via di forme o di stile, è invece un’affinità spirituale più alta, più profonda, quella che lega chi è destinato a svolgere un ruolo decisivo ma vive ai margini della cultura che dovrà condizionare; di chi soffre per tale condizione e vive la propria arte insieme con un malessere radicato dal quale non riesce a separarla.

























Le vedute architettoniche di Appia, così affascinanti per noi, hanno avuto un’influenza profondissima nel teatro del Novecento, da Gordon Craig a Svoboda. Sono state la prima palpabile testimonianza di un’idea di teatro come opera d’arte e non più, soltanto, come mestiere, come semplice imitazione naturalistica, più o meno riuscito trompe l’oeil. Nei disegni di Appia l’evocazione non nasce dall’affollamento di dettagli particolari, ma da una rinuncia, dalla determinazione a non voler ripetere meccanicamente ciò a cui si tende, a cui si rimanda. Una rinuncia, una riduzione: quanto meglio si riesce a contenere, a rendere concisi i segni, l’insieme degli oggetti sulla scena, tanto più potente sarà l’evocazione, tanto maggiore sarà la forza intrinseca della composizione, l’autonomia e la coerenza dell’opera, del teatro come atto poetico pieno ed autonomo.

I testi di Appia, nella loro traduzione italiana (curata da Ferruccio Marotti), sono disponibili in rete. Questo è il link per scaricarli in pdf: 
Una bella introduzione racconta la vita dell’autore e descrive i temi principali dei suoi  scritti.